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Sei nel sito curato da Achille Aveta. Achille è giornalista e saggista; ha scritto numerosi articoli e diversi saggi incentrati sulla religiosità alternativa, con particolare riguardo alla dimensione religiosa dei Testimoni di Geova. Ha curato le traduzioni in italiano degli scritti di R.V. Franz, C.O. Jonsson, J. Bergman, M.J. Penton. Come si intuisce dalla foto, ha un’antica passione per le due ruote! Fin dagli ultimi anni del secolo scorso i siti on line di Achille sono stati letti ed apprezzati da decine di migliaia di internauti.

I testi proposti in queste pagine hanno lo scopo di stimolare la tua riflessione sulle ragioni per cui non è possibile credere ai Testimoni di Geova quando si presentano come “portatori di verità”, “membri dell’unica vera religione approvata da Dio”.

Contenuti del sito

Non aspettarti un’indagine completa sulla storia, sulle dottrine e sulla prassi dei Testimoni di Geova, le pagine che seguono si propongono, attraverso il sintetico riferimento a opinioni e a fatti emblematici e mediante la narrazione di alcune esperienze personali, d’incoraggiare una serena riflessione su ciò che implica l’essere Testimone di Geova e sulla reale portata della contagiosa “euforia”, che tanti affiliati al geovismo diffondono tra persone disinformate e disponibili a un “dialogo” con loro, il quale ben presto si trasforma in un accurato programma d’indottrinamento che non lascia spazio a un’indagine serenamente “critica”, presupposto indispensabile per ogni equilibrata adesione a un credo o per un motivato rifiuto d’esso.

Per un’organica disciplina della libertà religiosa

È ancora il caso di proseguire con una serie infinita di accordi ed intese, ai sensi dell’articolo 8 della nostra Costituzione, o non è ormai maturo il tempo perché la dottrina giuridica e la politica facciano il passo decisivo verso una legge generale sulla libertà religiosa?
Questa domanda è quanto mai opportuna in considerazione del fatto che ormai ad oggi (2022) sono già dodici le confessioni che beneficiano di intese stipulate con lo Stato italiano e altre premono per sottoscriverne. Questo fatto, di per sé, rende non più rinviabile la decisione di adottare una legge organica sulla libertà religiosa, in quanto è impensabile che lo Stato possa stipulare tante intese quanti sono i gruppi religiosi presenti oggi in Italia.
In effetti, nel nostro ordinamento, i rapporti tra Stato e fenomeni sociali organizzati in confessioni religiose continuano ad essere caratterizzati dall’assenza di una disciplina generale sulla libertà religiosa, la cui formulazione permetterebbe di inserire in una legge generale molti dei principi di fondo che in questi anni sono stati formulati e immessi nelle singole intese già stipulate e vigenti. La redazione di un contesto normativo e istituzionale relativo alla libertà religiosa potrebbe consentire all’istituto dell’intesa di assumere la fisionomia voluta dai Costituenti: riportare lo strumento dell’intesa con le confessioni religiose al ruolo di definizione consensuale della disciplina dei rapporti strettamente legati alle specificità e peculiarità proprie della confessione richiedente. In altre parole, dopo il varo dell’auspicata legge sulla libertà religiosa, i contenuti delle eventuali successive intese potrebbero essere limitati solo agli specifici profili richiedenti un atto di natura bilaterale (per esempio, il riconoscimento di festività religiose proprie di certe confessioni, il concorso alla ripartizione della quota dell’8 per mille del gettito IRPEF …). Quindi, l’adozione di una legge generale sulla libertà religiosa servirebbe a far emergere le diversità e specificità delle singole confessioni, non contemplate dalla legge generale, le quali – eventualmente formalizzate in un’intesa – potrebbero essere riconosciute dall’ordinamento in quanto non confliggenti con i valori da esso garantiti.
L’esigenza di risolvere il problema della libertà religiosa nell’ordinamento italiano attraverso una legge generale è avvertito da diversi addetti ai lavori, i quali osservano che: «La stagione di rinnovamento delle fonti del diritto ecclesiastico avviata nel 1984, con la firma dell’Accordo di revisione del Concordato lateranense del 1929, e proseguita con la sottoscrizione delle prime intese con alcune delle principali confessioni religiose presenti nel nostro paese, al culmine del suo sviluppo ha espresso, in modo evidente, i limiti di un sistema non del tutto adeguato alla gestione di un pluralismo religioso ampio e articolato» (A.G. Chizzoniti in Laura De Gregorio, “La legge generale sulla libertà religiosa. Disegni e dibattiti parlamentari”, Tricase 2012, p. 5). Infatti, negli ultimi decenni il panorama religioso italiano è notevolmente mutato anche per il radicale cambiamento nella composizione della popolazione, dal punto di vista religioso; il che impone ormai una riflessione sull’opportunità di continuare a percorrere sic et simpliciter la strada delle intese o, piuttosto, di trovare altre soluzioni per rispondere alle richieste pressanti di tanti gruppi religiosi presenti nel Paese, ancora soggetti alle obsolete disposizioni del 1929 e 1930 (per la precisione alla legge n°1159 del 24 giugno 1929 e al regio decreto n°289 del 1930). Infatti, la mancanza di un’organica legge sulla libertà religiosa implica un ovvio aumento del numero di confessioni interessate alle intese, considerate queste ultime come unico mezzo per sottrarsi all’obsoleta normativa vigente e come strumento per far valere le specificità dei singoli gruppi religiosi. Di conseguenza, «la corsa all’intesa, vista come unico mezzo per liberarsi dalle disposizioni restrittive del 1929-30 ma anche per godere di non indifferenti privilegi, tra i quali spiccano i vantaggi fiscali, porta le confessioni ad appiattirsi ulteriormente e ad eliminare i loro aspetti più specifici nel timore che questi possano comportare un irrigidimento delle trattative o addirittura precludere la possibilità di raggiungere l’intesa. Si assiste così alla degenerazione dell’istituto che ha perso la sua funzione originaria di strumento atto a fare risaltare le peculiarità delle varie confessioni diventando invece strumento di omologazione» (Anna Sveva Mancuso, “L’attuazione dell’art. 8.3 della Costituzione. Un bilancio dei risultati raggiunti e alcune osservazioni critiche”, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, febbraio 2010).
Una legge quadro sulla libertà religiosa comporterebbe, dunque, il significativo vantaggio di superare definitivamente il sistema del riconoscimento singolarizzato delle varie presenze religiose, rappresentato dalle intese, come unica modalità di ottenimento di un pubblico apprezzamento della propria esistenza e dei propri diritti ad essa connessi.
Sul versante dei benefici derivanti dal varo di una siffatta legge, si pensi anche al contributo che questa potrebbe dare alla risoluzione di alcune difficoltà finora incontrate dal tentativo di collocare l’Islam in un quadro di compatibilità con il meccanismo finalizzato alla stipula di un’intesa.
Fin dall’ultimo decennio del Novecento sono stati presentati in Parlamento diversi disegni di legge sulla libertà religiosa per formulare su basi più attuali i rapporti con le confessioni di minoranza; d’altra parte, all’epoca, analoghe iniziative erano state intraprese anche in altre nazioni: in Spagna nel 1980, in Polonia nel 1989, in Ungheria nel 1990 e in Austria nel 1987. Purtroppo, tutti i tentativi intrapresi in casa nostra sul tema sono decaduti con la fine delle varie legislature tra l’indifferenza della gran parte della classe politica e quella, forse più preoccupante, della società civile. Si auspica, perciò, che il dibattito riprenda e arrivi finalmente in porto una normativa che rappresenti il concreto superamento del sistema delle intese così com’è stato realizzato finora e, superando le norme residue della legislazione del 1929-30, stabilisca nuovi parametri tali da assicurare alle confessioni il concreto esercizio degli stessi diritti.

Achille Aveta

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