En attendent Godot - L'interminabile attesa
È
difficile che l’abituale lettore della Torre di Guardia lo
faccia, ma un lettore di media cultura non può non ricordare
— ripassando la serie infinita degli spostamenti in avanti di
quella che il professor Penton ha felicemente definito l’Apocalisse Rinviata
— un classico della letteratura inglese del secolo scorso,
“Aspettando Godot”, del premio Nobel Samuel Beckett. Chi ha
letto quest’opera teatrale forse ricorderà che essa si
conclude con i protagonisti che attendono invano il personaggio
principale, che ogni giorno promette di arrivare il giorno dopo e che
non arriva mai. Sembra anche che il nome GODot
voglia dire “Dio” in inglese, seguito da “dot”
(punto); cioè “ed essi stanno ancora aspettando Godot (=
Dio.)”.
Come hanno argomentato alcuni critici letterari, “Aspettando
Godot” è divenuto sinonimo di una situazione in cui si
aspetta un avvenimento che dà l’apparenza di essere
imminente, ma che nella realtà non accade mai; un po’ come
“Il deserto dei tartari” del nostro Buzzati.
Entrambe le opere si concludono tristemente, com’è
inevitabile che accada quando si costruisce un’intera esistenza
su aspettative che, invece d’essere basate su elementi concreti,
si fondano sul semplice desiderio che la cosa che attendiamo si
realizzi, scambiando il desiderio con la realtà.
Questa, e non altra, è la realtà che caratterizza ormai
da più di un secolo il movimento religioso dei testimoni di
Geova, ovvero l’attesa e l’annuncio della fine di un
sistema basato sul dominio dell’uomo, per cedere il posto a un
sistema teocratico basato sul dominio di Dio, accompagnato dallo
sterminio di quasi tutto il genere umano, dalla resurrezione dei morti,
e così via. Per intenderci, l’Armaghedon biblico.
Chi desiderasse ripercorrere l’excursus storico di queste attese
e di questi annunci, si renderebbe facilmente conto che essi sono ormai
una costante, ripetutasi così tante volte che è difficile
persino per i testimoni di Geova più tetragoni ancora credervi.
Sono numerosissimi gli articoli che, con dovizia di particolari,
forniscono precise indicazioni su tutti i contorsionismi esegetici che
- a partire dal 1916 in poi - quest’organizzazione ha escogitato
pur di non ammettere l’unica cosa evidente: il completo, totale e
incontrovertibile fallimento del loro intero impianto escatologico;
pertanto, qui, adesso, non è necessario addentrarvisi. Ci preme,
invece, cogliendo lo spunto dall’ultima singolare trovata del
loro Corpo Direttivo, procedere ad un esame dell’argomento
più da un punto di vista lessical-grammaticale che dottrinale; e
questo perché la dottrina è soggetta alle
interpretazioni, la grammatica e la sintassi, invece, no. Il lettore
che volesse seguirmi in questo percorso, può quindi continuare
con l’esame di quanto segue.
Ci sono delle regole alle quali nessuno può sottrarsi. O meglio,
lo si può, ma con il risultato di sovvertirle e di perdere la
sua credibilità. Una di queste è la grammatica;
un’altra è la matematica. Se per esempio un uomo
autorevole e stimato insistesse nel dire che due più due fa
cinque, la sua autorevolezza e la stima di cui gode non potrebbero in
nessun caso assolverlo dal suo errore, né egli potrebbe
pretendere che i suoi allievi, i suoi seguaci accettino come vere le
sue affermazioni, sol perché egli è la loro guida, il
loro leader.
Per quanto riguarda la grammatica, anch’essa ha le sue regole, ed
esse vanno rispettate, se si vuole essere compresi. Per tornare
all’esempio precedente, nessun uomo, per quanto colto, potrebbe
impunemente dire «se io avrei», al posto di «se io
avessi», e pensare che l’uso di un condizionale al posto di
un congiuntivo sarebbe legittimo solo perché lui è stato
eletto, nominato, scelto, o investito di qualsiasi autorità,
anche da Dio in persona. Un errore è un errore, e niente
può farlo diventare una cosa giusta.
Nella lingua italiana, ma anche nelle altre lingue, il rispetto delle
regole è essenziale per comprendersi l’un l’altro. A
scuola è del tutto normale che un insegnante segni con la matita
blu un compito nel quale uno studente, scrivendo di un oggetto che
tiene fra le mani dica “tengo quella palla”, e non “questa palla”. Questo, codesto, quello
sono aggettivi (e pronomi dimostrativi) essenziali perché chi
legge o ascolta comprenda correttamente il significato di una
determinata espressione (1).
Nessuno può vietare a un altro di credere una determinata cosa.
Nel campo delle idee religiose questo è fondamentale per
garantire a ciascuno la libertà di credere in ciò che
vuole. D’altra parte, chi crede non può pretendere di
continuare a essere creduto, se insiste nel violare le regole che
disciplinano materie non religiose per sostenere le sue idee religiose.
Tanto per fare un esempio, è legittimo dire: “Io credo che
fra 10 anni ci sarà la fine del mondo”; ma non lo è
dire: “Io credo che fra 10 anni ci fu la fine del mondo”.
La sua fede non gli può consentire di sovvertire lo stato dei
verbi.
Questa premessa è propedeutica all’impostazione che
desideriamo imprimere a questa analisi dell’ennesimo nuovo
intendimento riguardante l’espressione di Gesù riferita in
Matteo 24:34.
Leggiamone la formulazione nel testo della Bibbia di Gerusalemme, edizione 1971: «In verità vi dico: non passerà questa
generazione prima che tutto questo accada». Il commento che
l’autorevole traduzione fa di queste parole è il
seguente:“Questa affermazione concerne la fine di Gerusalemme e
non la fine del mondo”. Commento ragionevole se si tiene nel
debito conto la norma di contestualizzare le espressioni di un
discorso, discorso che in precedenza aveva fatto dire allo stesso
Gesù: “In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti
che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo
venire nel suo regno”, e successivamente aggiunge: “Vedete
tutte queste cose? In
verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non
venga diroccata”. Affermazioni forti, che stimolano i presenti a
porre la domanda cruciale: “Dicci quando avverranno queste cose,
e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del
mondo”? Il contesto, le cui regole non possono essere violate,
delinea un quadro sufficientemente chiaro di ciò che si
sostiene, ovvero che un gruppo di persone, “i presenti”,
è ansioso di conoscere quando “queste cose” si
sarebbero verificate, ed a loro viene data una risposta chiarissima:
“Non passerà questa generazione”!
Non dimentichiamo che quel gruppo di persone era gente comune, con una
cultura comune, abituata ad un linguaggio semplice e non criptato e
che, pertanto, la risposta doveva essere formulata coerentemente con le
loro aspettative: Questa generazione non passerà!
Tutti, indistintamente tutti i più autorevoli commentatori biblici, sono concordi sul suo significato:
1.Primo, “questa generazione” significa sempre la
generazione alla quale Gesù sta parlando. È la
generazione contemporanea, la generazione vivente che ascoltava le
parole di Gesù” [Gary De Mar (1997)];
2.Questa generazione, questa età; questa razza di uomini. Una
generazione è di circa trenta o quarant’anni. La
distruzione di Gerusalemme ebbe luogo circa quarant’anni dopo
quelle parole (Albert Barnes, 1982);
3.Sebbene si sia cercato di applicare questa generazione ai giudei, o
alla razza umana in generale, è molto più probabile che
essa originariamente si riferiva alla generazione vivente al tempo di
Gesù (J.C. Fenton, 1963).
Lo stesso può dirsi del significato di genea nei lessici:
1.Intervallo di tempo fra padre e figlio … da trenta a quarant’anni [Greek & English Lexicon of the New Testament, di Robinson];
2.L’intera moltitudine di uomini che vivono nello stesso tempo [The New Analytical Greek Lexicon].
Così pure alcuni dizionari:
1.I nati nello stesso tempo costituiscono una generazione … i contemporanei [The New International Dictionary of the New Testament Theology];
2.Secondo Erodoto “tre generazioni fanno cento anni” [The Imperial Bible Dictionary];
3.Si usa per persone che vivono nello stesso tempo, e per estensione … 40 anni [New Bible Dictionary];
4.L’intera moltitudine di uomini viventi nello stesso tempo. Un
periodo normalmente occupato da ciascuna successiva generazione,
cioè di trenta o quarant’anni [An Expository Dictionary of the New Testament Words];
5.Esso denota molto spesso “generazione” nel senso di
contemporanei … In Matt. 24:34 questa generazione va intesa
temporalmente [Theological Dictionary of the New Testament, di Kittel];
6.La somma totale di individui che costituiscono un gruppo di contemporanei [Harper’s Bible Dictionary];
7.Il periodo di tempo che intercorre tra la nascita dei genitori e
quella dei loro figli … per la maggior parte degli scrittori
biblici la durata di una normale generazione è di trenta o
quarant’anni [The Harper Collins Bible Dictionary];
8.… il periodo dalla nascita di un uomo a quella di suo
figlio — e collettivamente le persone che vivono in quel periodo
[The Interpreter’s Dictionary of the Bible];
9.… il periodo di tempo fra la nascita dei genitori e quella dei
loro figli … il termine si riferisce semplicemente a tutte le
persone che vivono in un determinato tempo [Mercer Dictionary of the Bible];
10.Un corpo di persone che vivono nello stesso tempo in un determinato periodo storico [Nelson Illustrated Bible];
11.Usato nel senso generale di un periodo di tempo, la durata di una
vita umana, o quelli che vivono in un particolare periodo di tempo [Concise Dictionary of the Bible];
12.Il ciclo della vita, che va dalla nascita di un uomo a quella di suo figlio … quaranta anni [The Eerdman’s Bible Dictionary];
13.Matt. 24:34 — “Questa generazione” equivale alle persone allora viventi contemporaneamente a Cristo [Easton’s Bible Dictionary].
… NELLE ENCICLOPEDIE BIBLICHE:
1.Genea si riferisce a un periodo di tempo ben individuato, definito
come quello che intercorre fra la nascita di un genitore e quello di
suo figlio … Quelli che vivono in un determinato periodo storico
sono considerate una generazione [The International Standard Bible Encyclopedia];
2.Genea è la generazione di persone che vivono contemporaneamente a Cristo [Cyclopaedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature];
3.In Matt. XXIV.34, genea significa la generazione di persone viventi contemporaneamente a Cristo [The Cyclopaedia of Biblical Literature];
4.La presente generazione comprende tutti quelli che sono attualmente viventi [The Comprehensive Critical & Explanatory Bible Encyclopedia].
… NEI COMMENTARI BIBLICI:
1.Il versetto 34 promette solennemente che Gesù Cristo sarebbe
tornato mentre alcuni dei suoi contemporanei sarebbero stati ancora in
vita [Matthew (Hare)];
2.Solo con grande difficoltà si può pensare che
“questa generazione” non si riferisse alla generazione
vivente al tempo di Gesù [The Expositor’s Bible Commentary];
3.Questa generazione indica chiaramente i contemporanei di Gesù [Commentary on the Gospel of Mark (Wm Lane)];
4.Gesù era assolutamente certo che quelle cose sarebbero accadute durante il corso della vita di quella generazione [The Expositor’s Greek Testament (Bruce)].
Non è necessario frugare ulteriormente nell’archivio
inesauribile delle più erudite pubblicazioni bibliche per
giungere ad una conclusione assolutamente inequivocabile: la
generazione di cui Gesù parlava era quella e solo quella alla quale appartenevano i suoi ascoltatori, cioè persone viventi nella prima metà del primo secolo.
E se, soltanto per amore della discussione, ammettessimo che
così non fosse e volessimo — come fa il Corpo Direttivo
— applicare quelle parole a un “secondo adempimento”
collocato ai giorni d’oggi, tutte le regole comunemente accettate
dagli storici, dai teologi, dai biblisti, conducono inevitabilmente ad
un’unica conclusione: la durata di una generazione è di 30
o 40 anni.
La prima generazione, quella dei presenti al tempo di Gesù, era
rappresentata da uomini suoi contemporanei che avevano visto
“tutte queste cose”. Quegli uomini avevano
un’età compresa tra i 25 e i 40 anni. Le loro aspettative
di vita, pertanto, prima che la loro generazione
“passasse”, non potevano eccedere i 30 o 40 anni, ovvero
gli anni 70 del primo secolo e, se diamo ascolto alla storia, fu
proprio in quel tempo che Gerusalemme fu distrutta (che si trattasse,
poi, di una profezia ex eventu,
ne parleremo altrove). Pertanto, della generazione che era in vita al
tempo della profezia di Gesù, nessuno lo era più
all’inizio del 2° secolo. Lo stesso apostolo Giovanni, il
più longevo, era morto anche lui.
Se seguissimo il ragionamento del Corpo Direttivo, che vede nel 1914
l’adempimento parallelo delle parole di Cristo nel 1° secolo,
si creerebbe un paradosso insormontabile: quello della sovrapposizione.
Eccolo: secondo l’opinione della Torre di Guardia gli unti ci
sono sempre stati nel corso dei secoli, e di loro si fanno pure alcuni
nomi (2); pertanto, al corso
della vita, per esempio, di Paolo e di Giovanni, si sarebbero
sovrapposte le vite di altri “unti” che non soltanto non
erano presenti quando Gesù pronunciò la sua profezia, ma
non lo erano nemmeno al verificarsi degli eventi che della profezia
erano il fondamento: vedete tutte queste cose? … Se applicassimo
il ragionamento della Torre di Guardia
del 15 aprile 2010 anche al “tipo” del 1° secolo, ancor
oggi staremmo attendendo la distruzione di Gerusalemme, perché
di sovrapposizione in sovrapposizione salta del tutto l’elemento
tempo.
Per essere sinceri, è già saltato. E lo è da circa
35 anni. Questo perché gli esseri umani che videro gli
avvenimenti del 1914, cioè la Prima Guerra Mondiale, che
finì nel 1918, non potevano che essere nati all’incirca
nel 1904 secondo quanto più volte assunto dalla stessa
Società Torre di Guardia (La Torre di Guardia
del 1° aprile 1979, p. 31; del 15 aprile 1981, p. 31). Chi, sia
oggi che ancor di più nel passato quando le aspettative di vita
erano ridotte, fosse nato in quell’anno non poteva attendersi
d’essere ancora in vita all’inizio del 2000, perché
avrebbe avuto 96 anni, e 106 nel 2010, cioè oggi. Non per nulla
vi fu tra i testimoni di Geova grande aspettativa del 1975 che
coincideva con tutti i parametri riguardanti durata di vita, durata di
generazione e così via.
Chi fa un’attenta riflessione sull’articolo della Torre di Guardia
del 15 aprile 2010, non può non notare che in esso ricorre per 3
volte l’avverbio “evidentemente”. La prima è
nel paragrafo 7: “Lo spirito santo fu evidentemente impiegato per proteggere Gerusalemme” (3);
nel paragrafo 14: “Come dobbiamo quindi intendere ciò che
Gesù disse riguardo a “questa generazione”? Evidentemente
Gesù voleva dire che le vite degli unti che erano presenti nel
1914, quando si cominciò a vedere il segno, si sarebbero
sovrapposte alle vite di altri cristiani unti che avrebbero visto
l’inizio della grande tribolazione”; e, infine, nel
paragrafo 17: “Cosa conterranno [i nuovi rotoli]? Evidentemente un’esposizione dettagliata delle norme divine che dovremo osservare durante i mille anni” (4).
Che vogliono dire gli aggettivi “evidente” e l’avverbio “evidentemente”? Secondo il Vocabolario della lingua italiana Treccani:
“Che si vede bene e distintamente da tutti; manifesto, chiaro,
che non lascia dubbi; cosa che non ha bisogno di dimostrazione; che
rappresenta ed esprime con chiarezza e immediatezza; cedere di fronte
alla verità manifesta”.
È di facilissima “evidenza”, invece, che l’uso
che la Società Torre di Guardia fa sia dell’aggettivo che
dell’avverbio è opposto a quello consentito dalla
insindacabile autorità della lingua italiana (o inglese,
nell’edizione originale, nella quale lingua, secondo il
Dizionario Collins vuol dire:
“Qualunque cosa che si vede, di cui si fa esperienza, che si
legge … qualcosa che è realmente accaduto. In inglese
questo termine [evidence o evidently] è usato
nell’ambiente giudiziario con il significato di
“prova” sulla base della quale condannare o assolvere
l’imputato.
L’errore del Corpo Direttivo sta nell’aver usato un termine
inappropriato. In effetti, per corrispondere all’uso che esso fa
del termine, bisognerebbe sostituirlo con il molto più
pertinente “deduzione”, cioè “l’atto o
il processo tramite il quale si perviene a una conclusione mediante
ragionamento”.
Per definizione alla deduzione si può opporre la contestazione.
“Le tue deduzioni non mi sembrano convincenti”, cosa che
non si può dire delle evidenze che, di per sé, sono
inappellabili. In tribunale, infatti, si decide sulla base delle
“evidenze = prove”, e non delle deduzioni.
Che le cose stiano così lo si comprende dalla lettura del
paragrafo 14, dove è posta la domanda: «Come dobbiamo
quindi intendere ciò che Gesù disse riguardo a
“questa generazione”»? Si invita il lettore a trarre
delle conclusioni (intendere) dalle premesse prima presentate, e quindi
si asserisce che “evidentemente” Gesù voleva dire
che le vite degli unti che erano presenti nel 1914, quando si
cominciò a vedere il segno, si sarebbero sovrapposte alle vite
di altri cristiani unti, che avrebbero visto l’inizio della
“grande tribolazione”. No, non è possibile
violentare contemporaneamente grammatica, sintassi, logica e buon senso.
La risposta corretta dovrebbe essere: "ne deduciamo che Gesù voleva dire …". La stessa espressione “Gesù voleva dire” è profondamente diversa da “Gesù ha detto”.
“Voleva dire” significa “noi intendiamo così
le sue parole”, oppure “ne deduciamo che …". Gesù voleva dire è una deduzione, Gesù ha detto è un fatto.
Che questo nostro ragionamento sia corretto è confermato dalla
stessa Società Torre di Guardia. Infatti, nell’edizione
della rivista del 15 aprile 1981, p, 31, era scritto: “se si
presume che l’età di 10 anni è quella in cui un
avvenimento produce un’impressione durevole nella memoria di una
persona … Sono ancora in vita molte persone che possono
raccontarci quali catastrofici cambiamenti ebbero luogo sulla terra nel
1914 … Possiamo quindi essere felici che Gesù abbia
garantito che vi saranno superstiti della “generazione” del
1914 — cioè che questa generazione non sarà del
tutto scomparsa — quando la “grande tribolazione”
farà calare il sipario su questo malvagio sistema
mondiale”. Calcolare che la generazione avesse 10 anni più
o meno nel 1914 e che, quindi, fosse composta da persone che erano nate
nel 1904 (o giù di lì) è detto dallo stesso Corpo
Direttivo; e se tali persone erano ancora in vita nel 1981, cioè
29 anni fa, quasi certamente non lo sono oggi, altrimenti avrebbero 96
anni (quando la durata media della vita nel progredito mondo
occidentale non supera ancor oggi gli 80 – 85 anni).
Sull’argomento il Corpo Direttivo sembra non aver mai nutrito
dubbi. La conferma ci è data dalle sue stesse parole nella Svegliatevi!
dell’8 dicembre 1986, dove è posta la domanda: “A
quale generazione si riferiva Gesù? Senza dubbio alla
generazione in vita nel 1914”.
È interessante, poi, notare quello che eufemisticamente potremmo
definire un “falso ideologico”, cioè la frase
“possiamo essere felici che Gesù abbia garantito che vi saranno superstiti della generazione del 1914” (La Torre di Guardia
del 15 aprile 1981, p. 31). È falso asserire che
“Gesù abbia garantito” in riferimento al 1914.
Gesù non ha una sola volta parlato del 1914, è una
“deduzione” di chi ha scritto l’articolo, senza uno
straccio di prova.
In estrema sintesi, cerchiamo adesso di riassumere il ragionamento e le conclusioni che emergono dall’ultima boutade del Corpo Direttivo:
Paragrafo 14: “Anche se non si può determinare l’esatta
durata di questa generazione”. Esatto vuol dire preciso, senza
margini d’errore. È ovvio che questo termine non
può applicarsi alla durata di una generazione, che è
sempre approssimativa. Se diciamo che “ci si vede alle
17,00”, è un appuntamento preciso; se invece si dice
“intorno alle 17,00”, chiunque capisce che ci si
vedrà un po’ prima o un po’ dopo, ma non alle 16,00
né alle 18,00. La durata di una generazione può essere di
30 o 40 anni, ma non di 10 né di 60 o più anni.
Inoltre, una generazione si sovrappone a un’altra, ma non
nell’ambito di se stessa. La generazione di un figlio si dipana
insieme a quella di suo padre e a quella di suo nonno, a volte a quella
del suo bisnonno, ma non si confonde con esse. Il bisnonno, il nonno,
il padre e, infine, il figlio possono ciascuno dire “la mia
generazione”, intendendo ciascuno di loro l’insieme di
persone nate pressappoco nello stesso tempo, ma la
“generazione” dell’uno è nettamente distinta
da quella dell’altro; difatti, le cose che ha visto la
“generazione” del nonno non sono state viste da quella del
nipote, anche se le loro “vite” (non le loro generazioni)
si sovrappongono per un certo numero di anni. Gesù non
parlò mai di vite che si sovrappongono, ma di “questa
generazione”, una, unica, testimone di un evento che sarebbe
culminato con la catastrofe: la distruzione di Gerusalemme. Ovvero: voi
che siete qui con me, che mi ascoltate, che vedete il tempio in tutta
la sua magnificenza, VOI ne vedrete la distruzione! Quando? In verità vi dico che questa, la vostra generazione, VOI prima di morire la vedrete.
Dopo aver detto che non si può determinare l’esatta durata
di questa generazione, viene introdotto un elemento per calcolarne
quella approssimativa. Ma, si deve obiettare, la durata approssimativa
la conoscono tutti. Abbiamo abbondantemente dimostrato che è
universalmente accettato — da millenni — qual è la
durata di una generazione. E l’universo mondo è concorde
sulla durata di 30 o 40 anni. Perché, quindi, si sente
l’esigenza di proporre un nuovo metodo di calcolo? Perché
si dice: “Come dobbiamo intendere ciò che Gesù
disse riguardo a “questa generazione”? È evidente
(questa volta veramente) che tutte le precedenti determinazioni non
potevano più essere adottate. Quelle, per intenderci, del 1897 (Studi sulle Scritture, vol. I, p. 604); del 1927 (La Torre di Guardia del 15 febbraio 1927, p. 62); del 1958 (La Torre di Guardia del 15 ottobre 1958, p. 636); del 1962 (La Torre di Guardia del 15 agosto 1962, p. 484); del 1963 (Svegliatevi! dell’8 marzo 1963, pp. 28, 29); del 1974 (Svegliatevi! dell’8 dicembre 1974, pp. 19, 20; del 22 aprile 1969, pp. 13, 14); del 1979 (La Torre di Guardia del 1° aprile 1979, p. 31); del 1981 (La Torre di Guardia del 15 aprile 1981, p. 31); del 1986 (Svegliatevi! 8 dicembre 1986, p. 12); del 1995 (La Torre di Guardia del 1° novembre 1995, pp. 19, 20); del 2008 (La Torre di Guardia
del 15 febbraio 2008, p. 24). Qual è, allora, il punto nuovo?
Evidentemente, il fallimento di tutte le precedenti determinazioni che
avevano tutte in comune un elemento: la durata della generazione in
esse era limitata nell’ambito del 20° secolo: “Fra
breve, entro il nostro ventesimo secolo, la “battaglia del giorno di Geova” comincerà” (“Le nazioni conosceranno che io sono Geova”,
p. 216). Ma in questa prima metà del 2010 del XXI secolo
l’intero impianto era già compromesso irrimediabilmente, e
pertanto bisognava metterci una pezza. Il lavoro di ricucitura
cominciò a essere predisposto con l’edizione della Torre di Guardia
del 15 febbraio 2008, nella quale, ritornando alle idee di J.F.
Rutherford del 1927, si identificava la generazione non con quella del
malvagio e incredulo genere umano, ma con quella degli unti, sia del I
secolo che del XIX e XX secolo. A ben guardare, però, è
una pezza che non copre il buco. Perché, per quanto gli
“unti” possano essere diversi dagli altri nelle loro
aspettative finali, non lo sono certamente in quanto alla durata della
loro vita.
E non può che essere così, in quanto è la stessa Torre di Guardia
più volte citata che lo sostiene. L’edizione del 15
febbraio 2008 spiega che Gesù si “riferiva (nel I secolo)
ai suoi discepoli, che presto sarebbero stati unti con lo spirito
santo”; poi, l’edizione del 15 aprile 2010 aggiunge:
“Sia nel I secolo che nei nostri giorni sarebbero stati gli unti
seguaci di Cristo a vedere il segno e a comprenderne il
significato”.
Il parallelo fra le due generazioni impone lo stesso calcolo per
entrambe. Se, quindi, la generazione del I secolo, alla quale
Gesù si rivolse, vide la fine nel 70 E.V., così
dev’essere per quella dei “nostri giorni” (si ricordi
la fatidica data del 1975). E, invece, ecco il coup de théâtre,
tutto racchiuso in 6 righe del paragrafo 14: “Evidentemente
Gesù voleva dire che le vite degli unti che erano presenti nel
1914, quando si cominciò a vedere il segno, si sarebbero
sovrapposte alle vite di altri cristiani unti che avrebbero visto
l’inizio della grande tribolazione”. Ed ecco dove si annida
l’imbroglio. Qui abbiamo due eventi: (a) inizio dei dolori, del
segno; (b) inizio della grande tribolazione. Fra i due eventi trascorre
l’arco di tempo di una generazione. Secondo Gesù chi
avrebbe visto l’inizio avrebbe visto la fine. Secondo il Corpo
Direttivo una generazione avrebbe visto l’inizio, e un’altra ne avrebbe visto la fine (5).
Che le due generazioni si tocchino, in quanto la prima porge il
testimone alla seconda, non influisce sulla durata della generazione.
Il Corpo Direttivo, invece, definisce le diverse generazioni
“tale generazione” che ha inizio (più o meno nel
‘900) e una fine (più o meno nel 2020 [forse]). Ma
così questa generazione, se non vi saranno altre modifiche,
invece di 30 o 40 anni come nel I secolo, durerebbe non meno di 120
anni, cioè 3 o 4 volte di più. I conti non tornano.
Dopo avere ulteriormente modificato, spostandola in avanti, la sconosciuta data della fine, consolatoriamente La Torre di Guardia aggiunge (paragrafo 14): “Tale generazione ha avuto un inizio e avrà sicuramente una fine. L’adempimento dei vari aspetti che compongono il segno indica chiaramente che la tribolazione deve essere vicina”.
Ora, che una generazione abbia un inizio e una fine, come ce
l’hanno tutte le cose, non era necessario che il Corpo Direttivo
ce lo ricordasse. Anche i meno smaliziati tra i testimoni di Geova ci
arrivano da soli. Il problema è, ovviamente, un altro: quando?
La risposta è sconvolgente, e forse per questo la maggioranza
dei creduli lettori della Torre di Guardia non vuole accorgersene. Si
trova nelle quattro righe seguenti. Leggiamole: “Mantenendo
il senso di urgenza ed essendo vigilanti dimostriamo di tenerci al
passo con l’aumentare della luce spirituale e di seguire la guida
dello spirito santo”.
Che vuol dire? Si è appena detto che “deve essere vicina”, non “è vicina”. Ciò significa, in effetti, “tutto parrebbe
indicare che sta per arrivare”; il “parrebbe” si
può così tradurre: “In ogni caso stiamo sempre in
attesa e teniamoci al passo con l’aumentare della luce spirituale
e seguiamo la guida dello spirito santo”. La luce che aumenta,
ovviamente, definisce meglio i contorni delle cose, cioè ci
attendiamo che vi siano ulteriori chiarimenti
sull’argomento, che saranno provveduti tramite il canale con cui
questo spirito viene elargito, cioè lo schiavo fedele e
discreto, alias il Corpo Direttivo. Se la luce deve aumentare, è
implicito che quella attuale non è ancora “il giorno
fermamente stabilito” di Proverbi 4:18, pertanto questa
espressione apparentemente innocua è la base per ulteriori
chiarimenti sotto il comodo usbergo di uno spirito santo che non si
decide mai a “stabilire fermamente il giorno”. Sfugge
però al Corpo Direttivo quanto lo stesso libro di Proverbi
saggiamente dichiara in 13:12, e cioè che
“l’aspettazione differita fa ammalare il cuore”. E in
quanto a differimento di aspettative, il Corpo Direttivo è
campione intergalattico. Vogliamo ricordarne qualcuna.
«La profezia procede a mostrare quale particolare evento deve
essere compreso con un segno inequivocabile dell’esatta data del
principio del tempo della fine. Quest’evento è senza ombra
di dubbio l’invasione dell’Egitto da parte di Napoleone
(1799)» — Studi sulle Scritture, Volume III “Venga il tuo Regno”.
«Noi crediamo che la parola di Dio ci fornisca la prova certa del
fatto che stiamo adesso vivendo nel “Giorno del Signore”
che ebbe inizio nel 1874, e che deve durare quarant’anni».
— La Torre di Guardia di Sion, dicembre 1881.
«La data della fine di “quella battaglia” è
definitivamente contrassegnata nelle Scritture nell’ottobre 1914.
Essa è già cominciata a far tempo dall’ottobre
1914». — La Torre di Guardia di Sion 15 gennaio 1892.
«Entro pochi anni al massimo la parte finale della profezia
biblica relativa a questi ‘ultimi giorni’ sarà
adempiuta». — La Torre di Guardia del 1° maggio 1968, p. 272.
«Il fatto che siano già passati cinquantaquattro anni del
periodo chiamato gli ‘ultimi giorni’ è molto
significativo. Significa infatti che rimangono al massimo solo pochi
anni prima che il corrotto sistema di cose che domina la terra sia
distrutto da Dio» (6). — Svegliatevi! del 22 aprile 1969, p. 13.
Cosa accadde, esattamente 37 anni dopo il 33 E.V., nel corso del I
secolo? La risposta è nota. Proviamo adesso a immaginare un
quadro diverso, quello oggi rappresentato dalla Torre di Guardia. Alla
domanda dei discepoli Gesù risponde: Volete sapere quando?
Giorno e ora esatti non lo so nemmeno io (il Padre non m’ha
ancora detto niente), ma vi posso anticipare che i vostri figli lo
vedranno (forse); più probabilmente i vostri nipoti. Ma,
obietteranno i discepoli, “se hai appena detto questa
generazione, la nostra! “Duri di orecchie”, direbbe
Gesù, “quante volte ve lo devo ripetere! La vostra
generazione si sovrapporrà a quella dei vostri figli, ai quali
racconterete ciò che vi sto dicendo e ciò che state
vedendo. Essi, a loro volta, riferiranno ai loro figli che (forse)
vedranno la distruzione di Gerusalemme. “Ma”, chiederanno
ancora i discepoli, “in tal caso non saremo noi, questa generazione a vedere la distruzione di Gerusalemme, ma loro, la loro generazione, quella generazione, non questa”!
“Evidentemente, sarà così”, risponde Gesù, “mi pare ovvio”.
(1) Secondo uno dei più
autorevoli dizionari della nostra lingua, “questo”
«indica cosa o persona vicina nello spazio o nel tempo a chi
parla, o considerata come tale nel discorso (contrapposto a quello);
più generalmente allude a cosa o persona presente, attuale nel
momento in cui si fa o avviene ciò di cui si parla nella
proposizione.
(2) Che Geova abbia avuto
testimoni sulla terra anche dal tempo di Cristo fino ai nostri giorni
sembra indicato dalla parabola di Gesù del grano e delle
zizzanie, scritta nel tredicesimo capitolo di Matteo. In essa
Gesù disse che sia il grano che le zizzanie avrebbero continuato
a crescere fino al tempo della mietitura, quando avrebbe avuto luogo
una separazione. Si può pensare che durante tutto questo tempo,
dalla prima semina fino alla mietitura, vi sarebbero stati alcuni veri
cristiani, “grano”, benché a volte il loro numero
potesse essere straordinariamente piccolo … I fatti
summenzionati quindi dimostrerebbero due cose: (1) Che nel corso di
tutti i secoli, dal tempo di Abele fino ai tempi moderni, vi furono
alcuni che si attennero così strettamente alla Parola di Dio da
essere considerasti testimoni di Dio che ebbero la sua approvazione.
(2) Che devono essere stati un piccolo numero. (La Torre di Guardia del 15 luglio 1965, pp. 447, 448).
(3) La realtà storica
“evidentemente” contraddice quest’affermazione, in
quanto, come è noto, Gerusalemme è stata più volte
rasa al suolo nel corso dei secoli e successivamente ricostruita.
(4) Anche in questo caso
l’«evidentemente» è frutto di illazioni e
fantasia; nulla nell’intero contesto indica che essi conterranno
“un’esposizione dettagliata delle norme divine che dovremo
osservare durante i mille anni”. Ciò nonostante il Corpo
Direttivo ne è certo, ed anche “ansioso” di
esaminarne il contenuto.
(5) Questo è ciò
che diceva la rivista Svegliatevi! del 1963: “Tutti quelli che
erano in vita [nel 1914] o che nacquero verso quel tempo fanno parte di
questa generazione. I membri di questa generazione vedranno la fine del
mondo. — Svegliatevi! dell’8 marzo 1963. Pertanto il
giudizio divino sarebbe stato eseguito entro l’arco di vita di
alcuni che avrebbero visto le prime indicazioni del periodo predetto da
Gesù … questo periodo è iniziato nel 1914 E.V.
Perciò il giudizio di Dio deve essere eseguito prima che la
generazione del 1914 scompaia del tutto” — La Torre di Guardia del 1° maggio 1968, p. 4. Parole che trovano una conferma ancor più categorica nella Torre di Guardia
del 15 ottobre 1985: “Come le profezie di Gesù relative a
Gerusalemme si adempirono nell’arco della vita della generazione
del 33 E.V., così le sue profezie relative al “tempo della
fine” si adempiranno entro l’arco della vita della
generazione del 1914”. Il che significa che la generazione deve
vedere la fine non oltre il 1970/1975, perché il parallelo con
il I secolo sia coerente. Difatti la fine arrivò nel 70,
cioè 37 anni dopo il 1933. I due archi della vita devono essere uguali.
(6) I pochi anni sono ad oggi già 41, quasi quanto i 54 già decorsi a quella data del 1969.
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