È difficile che l’abituale lettore di La Torre di Guardia lo faccia, ma un lettore di media cultura non può non ricordare — ripassando la serie infinita degli spostamenti in avanti di quella che lo storico M. James Penton ha felicemente definito l’Apocalisse Rinviata — un classico della letteratura inglese del secolo scorso, Aspettando Godot, del premio Nobel Samuel Beckett. Chi ha letto quest’opera teatrale forse ricorderà che essa si conclude con i protagonisti che attendono invano il personaggio principale, che ogni giorno promette di arrivare il giorno dopo e che non arriva mai. Sembra anche che il nome GODot voglia dire “Dio” in inglese, seguito da “dot” (punto); cioè “ed essi stanno ancora aspettando Godot (= Dio.)”.
Come hanno argomentato alcuni critici letterari, Aspettando Godot è divenuto sinonimo di una situazione in cui si aspetta un avvenimento che dà l’apparenza di essere imminente, ma che nella realtà non accade mai; un po’ come Il deserto dei tartari del nostro Buzzati.
Entrambe le opere si concludono tristemente, com’è inevitabile che accada quando si costruisce un’intera esistenza su aspettative che, invece d’essere basate su elementi concreti, si fondano sul semplice desiderio che la cosa che attendiamo si realizzi, scambiando il desiderio con la realtà.
Questa, e non altra, è la realtà che caratterizza ormai da più di un secolo il movimento religioso dei Testimoni di Geova, ovvero l’attesa e l’annuncio della fine di un sistema basato sul dominio dell’uomo, per cedere il posto a un sistema teocratico basato sul dominio di Dio, accompagnato dallo sterminio di quasi tutto il genere umano, dalla resurrezione dei morti, e così via. Per intenderci, l’Armaghedon biblico.
Chi desiderasse ripercorrere l’excursus storico di queste attese e di questi annunci, si renderebbe facilmente conto che essi sono ormai una costante, ripetutasi così tante volte che è difficile persino per i Testimoni di Geova più tetragoni ancora credervi. Sono numerosissimi gli articoli che, con dovizia di particolari, forniscono precise indicazioni su tutti i contorsionismi esegetici che – a partire dal 1916 in poi – quest’organizzazione ha escogitato pur di non ammettere l’unica cosa evidente: il completo, totale e incontrovertibile fallimento del loro intero impianto escatologico; pertanto, qui, adesso, non è necessario addentrarvisi. Ci preme, invece, cogliendo lo spunto dall’ultima singolare trovata del loro Corpo Direttivo, procedere ad un esame dell’argomento più da un punto di vista lessical-grammaticale che dottrinale; e questo perché la dottrina è soggetta alle interpretazioni, la grammatica e la sintassi, invece, no. Il lettore che volesse seguirmi in questo percorso, può quindi continuare con l’esame di quanto segue.
Ci sono delle regole alle quali nessuno può sottrarsi. O meglio, lo si può, ma con il risultato di sovvertirle e di perdere la sua credibilità. Una di queste è la grammatica; un’altra è la matematica. Se, per esempio, un uomo autorevole e stimato insistesse nel dire che due più due fa cinque, la sua autorevolezza e la stima di cui gode non potrebbero in nessun caso assolverlo dal suo errore, né egli potrebbe pretendere che i suoi allievi, i suoi seguaci accettino come vere le sue affermazioni, sol perché egli è la loro guida, il loro leader.
Per quanto riguarda la grammatica, anch’essa ha le sue regole, ed esse vanno rispettate, se si vuole essere compresi. Per tornare all’esempio precedente, nessun uomo, per quanto colto, potrebbe impunemente dire «se io avrei», al posto di «se io avessi», e pensare che l’uso di un condizionale al posto di un congiuntivo sarebbe legittimo solo perché lui è stato eletto, nominato, scelto, o investito di qualsiasi autorità, anche da Dio in persona. Un errore è un errore, e niente può farlo diventare una cosa giusta.
Nella lingua italiana, ma anche nelle altre lingue, il rispetto delle regole è essenziale per comprendersi l’un l’altro. A scuola è del tutto normale che un insegnante segni con la matita blu un compito nel quale uno studente, scrivendo di un oggetto che tiene fra le mani dica “tengo quella palla”, e non “questa palla”. Questo, codesto, quello sono aggettivi (e pronomi dimostrativi) essenziali perché chi legge o ascolta comprenda correttamente il significato di una determinata espressione. Secondo uno dei più autorevoli dizionari della nostra lingua, “questo” «indica cosa o persona vicina nello spazio o nel tempo a chi parla, o considerata come tale nel discorso (contrapposto a quello); più generalmente allude a cosa o persona presente, attuale nel momento in cui si fa o avviene ciò di cui si parla nella proposizione.»
Nessuno può vietare a un altro di credere una determinata cosa. Nel campo delle idee religiose questo è fondamentale per garantire a ciascuno la libertà di credere in ciò che vuole. D’altra parte, chi crede non può pretendere di continuare a essere creduto, se insiste nel violare le regole che disciplinano materie non religiose per sostenere le sue idee religiose. Tanto per fare un esempio, è legittimo dire: “Io credo che fra 10 anni ci sarà la fine del mondo”; ma non lo è dire: “Io credo che fra 10 anni ci fu la fine del mondo”. La sua fede non gli può consentire di sovvertire lo stato dei verbi.
Questa premessa è propedeutica all’impostazione che desideriamo imprimere a questa analisi dell’ennesimo nuovo intendimento riguardante l’espressione di Gesù riferita in Matteo 24:34. Leggiamone la formulazione nel testo della Bibbia di Gerusalemme, edizione 1971: «In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada». Il commento che l’autorevole traduzione fa di queste parole è il seguente: “Questa affermazione concerne la fine di Gerusalemme e non la fine del mondo”. Commento ragionevole se si tiene nel debito conto la norma di contestualizzare le espressioni di un discorso, discorso che in precedenza aveva fatto dire allo stesso Gesù: “In verità vi dico: vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’uomo venire nel suo regno”, e successivamente aggiunge: “Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata”. Affermazioni forti, che stimolano i presenti a porre la domanda cruciale: “Dicci quando avverranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo”?
Il contesto, le cui regole non possono essere violate, delinea un quadro sufficientemente chiaro di ciò che si sostiene, ovvero che un gruppo di persone, “i presenti”, è ansioso di conoscere quando “queste cose” si sarebbero verificate, ed a loro viene data una risposta chiarissima: “Non passerà questa generazione”! Non dimentichiamo che quel gruppo di persone era gente comune, con una cultura comune, abituata ad un linguaggio semplice e non criptato e che, pertanto, la risposta doveva essere formulata coerentemente con le loro aspettative: Questa generazione non passerà!
Tutti, indistintamente tutti i più autorevoli commentatori biblici, sono concordi sul suo significato:
1. Primo, “questa generazione” significa sempre la generazione alla quale Gesù sta parlando. È la generazione contemporanea, la generazione vivente che ascoltava le parole di Gesù” (Gary De Mar, 1997);
2. Questa generazione, questa età; questa razza di uomini. Una generazione è di circa trenta o quarant’anni. La distruzione di Gerusalemme ebbe luogo circa quarant’anni dopo quelle parole (Albert Barnes, 1982);
3. Sebbene si sia cercato di applicare questa generazione ai giudei, o alla razza umana in generale, è molto più probabile che essa originariamente si riferiva alla generazione vivente al tempo di Gesù (J.C. Fenton, 1963).
Lo stesso può dirsi del significato di genea nei lessici:
1. Intervallo di tempo fra padre e figlio … da trenta a quarant’anni (Greek & English Lexicon of the New Testament, di Robinson);
2. L’intera moltitudine di uomini che vivono nello stesso tempo (The New Analytical Greek Lexicon).
Così pure alcuni dizionari:
1. I nati nello stesso tempo costituiscono una generazione … i contemporanei (The New International Dictionary of the New Testament Theology);
2. Secondo Erodoto “tre generazioni fanno cento anni” (The Imperial Bible Dictionary];
3. Si usa per persone che vivono nello stesso tempo, e per estensione … 40 anni (New Bible Dictionary);
4. L’intera moltitudine di uomini viventi nello stesso tempo. Un periodo normalmente occupato da ciascuna successiva generazione, cioè di trenta o quarant’anni (An Expository Dictionary of the New Testament Words);
5. Esso denota molto spesso “generazione” nel senso di contemporanei … In Matt. 24:34 questa generazione va intesa temporalmente (Theological Dictionary of the New Testament, di Kittel);
6. La somma totale di individui che costituiscono un gruppo di contemporanei (Harper’s Bible Dictionary);
7. Il periodo di tempo che intercorre tra la nascita dei genitori e quella dei loro figli … per la maggior parte degli scrittori biblici la durata di una normale generazione è di trenta o quarant’anni (The Harper Collins Bible Dictionary);
8.… il periodo dalla nascita di un uomo a quella di suo figlio — e collettivamente le persone che vivono in quel periodo (The Interpreter’s Dictionary of the Bible);
9.… il periodo di tempo fra la nascita dei genitori e quella dei loro figli … il termine si riferisce semplicemente a tutte le persone che vivono in un determinato tempo (Mercer Dictionary of the Bible);
10. Un corpo di persone che vivono nello stesso tempo in un determinato periodo storico (Nelson Illustrated Bible);
11. Usato nel senso generale di un periodo di tempo, la durata di una vita umana, o quelli che vivono in un particolare periodo di tempo (Concise Dictionary of the Bible);
12. Il ciclo della vita, che va dalla nascita di un uomo a quella di suo figlio … quaranta anni (The Eerdman’s Bible Dictionary);
13. Matt. 24:34 — “Questa generazione” equivale alle persone allora viventi contemporaneamente a Cristo (Easton’s Bible Dictionary).
… Nelle enciclopedie bibliche:
1. Genea si riferisce a un periodo di tempo ben individuato, definito come quello che intercorre fra la nascita di un genitore e quello di suo figlio … Quelli che vivono in un determinato periodo storico sono considerate una generazione (The International Standard Bible Encyclopedia);
2. Genea è la generazione di persone che vivono contemporaneamente a Cristo (Cyclopaedia of Biblical, Theological, and Ecclesiastical Literature);
3. In Matt. XXIV.34, genea significa la generazione di persone viventi contemporaneamente a Cristo (The Cyclopaedia of Biblical Literature);
4. La presente generazione comprende tutti quelli che sono attualmente viventi (The Comprehensive Critical & Explanatory Bible Encyclopedia).
… Nei commentari biblici:
1. Il versetto 34 promette solennemente che Gesù Cristo sarebbe tornato mentre alcuni dei suoi contemporanei sarebbero stati ancora in vita [Matthew (Hare)];
2. Solo con grande difficoltà si può pensare che “questa generazione” non si riferisse alla generazione vivente al tempo di Gesù (The Expositor’s Bible Commentary);
3. Questa generazione indica chiaramente i contemporanei di Gesù [Commentary on the Gospel of Mark (Wm Lane)];
4. Gesù era assolutamente certo che quelle cose sarebbero accadute durante il corso della vita di quella generazione [The Expositor’s Greek Testament (Bruce)].
Non è necessario frugare ulteriormente nell’archivio inesauribile delle più erudite pubblicazioni bibliche per giungere ad una conclusione assolutamente inequivocabile: la generazione di cui Gesù parlava era quella e solo quella alla quale appartenevano i suoi ascoltatori, cioè persone viventi nella prima metà del primo secolo.
E se, soltanto per amore della discussione, ammettessimo che così non fosse e volessimo — come fa il Corpo Direttivo — applicare quelle parole a un “secondo adempimento” collocato ai giorni d’oggi, tutte le regole comunemente accettate dagli storici, dai teologi, dai biblisti, conducono inevitabilmente ad un’unica conclusione: la durata di una generazione è di 30 o 40 anni.
La prima generazione, quella dei presenti al tempo di Gesù, era rappresentata da uomini suoi contemporanei che avevano visto “tutte queste cose”. Quegli uomini avevano un’età compresa tra i 25 e i 40 anni. Le loro aspettative di vita, pertanto, prima che la loro generazione “passasse”, non potevano eccedere i 30 o 40 anni, ovvero gli anni 70 del primo secolo e, se diamo ascolto alla storia, fu proprio in quel tempo che Gerusalemme fu distrutta (che si trattasse, poi, di una profezia ex eventu, ne parleremo altrove). Pertanto, della generazione che era in vita al tempo della profezia di Gesù, nessuno lo era più all’inizio del secondo secolo. Lo stesso apostolo Giovanni, il più longevo, era morto anche lui.
Se seguissimo il ragionamento del Corpo Direttivo, che vede nel 1914 l’adempimento parallelo delle parole di Cristo nel primo secolo, si creerebbe un paradosso insormontabile: quello della sovrapposizione. Eccolo: secondo l’opinione della Torre di Guardia gli unti ci sono sempre stati nel corso dei secoli, e di loro si fanno pure alcuni nomi [«Che Geova abbia avuto testimoni sulla terra anche dal tempo di Cristo fino ai nostri giorni sembra indicato dalla parabola di Gesù del grano e delle zizzanie, scritta nel tredicesimo capitolo di Matteo. In essa Gesù disse che sia il grano che le zizzanie avrebbero continuato a crescere fino al tempo della mietitura, quando avrebbe avuto luogo una separazione. Si può pensare che durante tutto questo tempo, dalla prima semina fino alla mietitura, vi sarebbero stati alcuni veri cristiani, “grano”, benché a volte il loro numero potesse essere straordinariamente piccolo … I fatti summenzionati quindi dimostrerebbero due cose: (1) Che nel corso di tutti i secoli, dal tempo di Abele fino ai tempi moderni, vi furono alcuni che si attennero così strettamente alla Parola di Dio da essere considerasti testimoni di Dio che ebbero la sua approvazione. (2) Che devono essere stati un piccolo numero.» (La Torre di Guardia del 15 luglio 1965, pp. 447,448); pertanto, al corso della vita, per esempio, di Paolo e di Giovanni, si sarebbero sovrapposte le vite di altri “unti” che non soltanto non erano presenti quando Gesù pronunciò la sua profezia, ma non lo erano nemmeno al verificarsi degli eventi che della profezia erano il fondamento: vedete tutte queste cose? … Se applicassimo il ragionamento di La Torre di Guardia del 15 aprile 2010 anche al “tipo” del primo secolo, ancor oggi staremmo attendendo la distruzione di Gerusalemme, perché di sovrapposizione in sovrapposizione salta del tutto l’elemento tempo.
Per essere sinceri, è già saltato. E lo è da circa 35 anni. Questo perché gli esseri umani che videro gli avvenimenti del 1914, cioè la Prima Guerra Mondiale, che finì nel 1918, non potevano che essere nati all’incirca nel 1904 secondo quanto più volte assunto dalla stessa Società Torre di Guardia (La Torre di Guardia del 1° aprile 1979, p. 31; del 15 aprile 1981, p. 31). Chi, sia oggi che ancor di più nel passato quando le aspettative di vita erano ridotte, fosse nato in quell’anno non poteva attendersi d’essere ancora in vita all’inizio del 2000, perché avrebbe avuto 96 anni, e 106 nel 2010, cioè oggi. Non per nulla vi fu tra i testimoni di Geova grande aspettativa dell’anno 1975 che coincideva con tutti i parametri riguardanti durata di vita, durata di generazione e così via.
Chi fa un’attenta riflessione sull’articolo di La Torre di Guardia del 15 aprile 2010, non può non notare che in esso ricorre per 3 volte l’avverbio “evidentemente”. La prima è nel paragrafo 7: «Lo spirito santo fu evidentemente impiegato per proteggere Gerusalemme» (La realtà storica “evidentemente” contraddice quest’affermazione, in quanto, come è noto, Gerusalemme è stata più volte rasa al suolo nel corso dei secoli e successivamente ricostruita); nel paragrafo 14: «Come dobbiamo quindi intendere ciò che Gesù disse riguardo a “questa generazione”? Evidentemente Gesù voleva dire che le vite degli unti che erano presenti nel 1914, quando si cominciò a vedere il segno, si sarebbero sovrapposte alle vite di altri cristiani unti che avrebbero visto l’inizio della grande tribolazione»; e, infine, nel paragrafo 17: «Cosa conterranno [i nuovi rotoli]? Evidentemente un’esposizione dettagliata delle norme divine che dovremo osservare durante i mille anni» (Anche in questo caso l’“evidentemente” è frutto di illazioni e fantasia; nulla nell’intero contesto indica che essi conterranno “un’esposizione dettagliata delle norme divine che dovremo osservare durante i mille anni”. Ciò nonostante il Corpo Direttivo ne è certo, ed anche “ansioso” di esaminarne il contenuto”).
Che vogliono dire gli aggettivi “evidente” e l’avverbio “evidentemente”? Secondo il Vocabolario della lingua italiana Treccani: «Che si vede bene e distintamente da tutti; manifesto, chiaro, che non lascia dubbi; cosa che non ha bisogno di dimostrazione; che rappresenta ed esprime con chiarezza e immediatezza; cedere di fronte alla verità manifesta».
È di facilissima “evidenza”, invece, che l’uso che la Società Torre di Guardia fa sia dell’aggettivo che dell’avverbio è opposto a quello consentito dall’insindacabile autorità della lingua italiana (o inglese, nell’edizione originale, nella quale lingua, secondo il Dizionario Collins vuol dire: “Qualunque cosa che si vede, di cui si fa esperienza, che si legge … qualcosa che è realmente accaduto”. In inglese questo termine [evidence o evidently] è usato nell’ambiente giudiziario con il significato di “prova” sulla base della quale condannare o assolvere l’imputato.
L’errore del Corpo Direttivo sta nell’aver usato un termine inappropriato. In effetti, per corrispondere all’uso che esso fa del termine, bisognerebbe sostituirlo con il molto più pertinente “deduzione”, cioè “l’atto o il processo tramite il quale si perviene a una conclusione mediante ragionamento”.
Per definizione alla deduzione si può opporre la contestazione. “Le tue deduzioni non mi sembrano convincenti”, cosa che non si può dire delle evidenze che, di per sé, sono inappellabili. In tribunale, infatti, si decide sulla base delle “evidenze = prove”, e non delle deduzioni.
Che le cose stiano così lo si comprende dalla lettura del paragrafo 14, dove è posta la domanda: «Come dobbiamo quindi intendere ciò che Gesù disse riguardo a “questa generazione”»? Si invita il lettore a trarre delle conclusioni (intendere) dalle premesse prima presentate, e quindi si asserisce che “evidentemente” Gesù voleva dire che le vite degli unti che erano presenti nel 1914, quando si cominciò a vedere il segno, si sarebbero sovrapposte alle vite di altri cristiani unti, che avrebbero visto l’inizio della “grande tribolazione”. No, non è possibile violentare contemporaneamente grammatica, sintassi, logica e buon senso.
La risposta corretta dovrebbe essere: “ne deduciamo che Gesù voleva dire …”. La stessa espressione “Gesù voleva dire” è profondamente diversa da “Gesù ha detto”. “Voleva dire” significa “noi intendiamo così le sue parole”, oppure “ne deduciamo che …”. Gesù voleva dire è una deduzione, Gesù ha detto è un fatto.
Che questo nostro ragionamento sia corretto è confermato dalla stessa Società Torre di Guardia. Infatti, nell’edizione della rivista del 15 aprile 1981, p. 31, era scritto: «se si presume che l’età di 10 anni è quella in cui un avvenimento produce un’impressione durevole nella memoria di una persona … Sono ancora in vita molte persone che possono raccontarci quali catastrofici cambiamenti ebbero luogo sulla terra nel 1914 … Possiamo quindi essere felici che Gesù abbia garantito che vi saranno superstiti della “generazione” del 1914 — cioè che questa generazione non sarà del tutto scomparsa — quando la “grande tribolazione” farà calare il sipario su questo malvagio sistema mondiale.» Calcolare che la generazione avesse 10 anni più o meno nel 1914 e che, quindi, fosse composta da persone che erano nate nel 1904 (o giù di lì) è detto dallo stesso Corpo Direttivo; e se tali persone erano ancora in vita nel 1981, quasi certamente non lo sono oggi (quando la durata media della vita nel progredito mondo occidentale non supera ancor oggi gli 80 – 85 anni). Sull’argomento il Corpo Direttivo sembra non aver mai nutrito dubbi. La conferma ci è data dalle sue stesse parole nella Svegliatevi! dell’8 dicembre 1986, dove è posta la domanda: “A quale generazione si riferiva Gesù? Senza dubbio alla generazione in vita nel 1914”.
È interessante, poi, notare quello che eufemisticamente potremmo definire un “falso ideologico”, cioè la frase “possiamo essere felici che Gesù abbia garantito che vi saranno superstiti della generazione del 1914” (La Torre di Guardia del 15 aprile 1981, p. 31). È falso asserire che “Gesù abbia garantito” in riferimento al 1914. Gesù non ha una sola volta parlato del 1914, è una “deduzione” di chi ha scritto l’articolo, senza uno straccio di prova.
In estrema sintesi, cerchiamo adesso di riassumere il ragionamento e le conclusioni che emergono dall’ultima boutade del Corpo Direttivo:
Paragrafo 14: «Anche se non si può determinare l’esatta durata di questa generazione…». Esatto vuol dire preciso, senza margini d’errore. È ovvio che questo termine non può applicarsi alla durata di una generazione, che è sempre approssimativa. Se diciamo che “ci si vede alle 17,00”, è un appuntamento preciso; se invece si dice “intorno alle 17,00”, chiunque capisce che ci si vedrà un po’ prima o un po’ dopo, ma non alle 16,00 né alle 18,00. La durata di una generazione può essere di 30 o 40 anni, ma non di 10 né di 60 o più anni.
Inoltre, una generazione si sovrappone a un’altra, ma non nell’ambito di se stessa. La generazione di un figlio si dipana insieme a quella di suo padre e a quella di suo nonno, a volte a quella del suo bisnonno, ma non si confonde con esse. Il bisnonno, il nonno, il padre e, infine, il figlio possono ciascuno dire “la mia generazione”, intendendo ciascuno di loro l’insieme di persone nate pressappoco nello stesso tempo, ma la “generazione” dell’uno è nettamente distinta da quella dell’altro; difatti, le cose che ha visto la “generazione” del nonno non sono state viste da quella del nipote, anche se le loro “vite” (non le loro generazioni) si sovrappongono per un certo numero di anni. Gesù non parlò mai di vite che si sovrappongono, ma di “questa generazione”, una, unica, testimone di un evento che sarebbe culminato con la catastrofe: la distruzione di Gerusalemme. Ovvero: voi che siete qui con me, che mi ascoltate, che vedete il tempio in tutta la sua magnificenza, VOI ne vedrete la distruzione! Quando? In verità vi dico che questa, la vostra generazione, VOI prima di morire la vedrete.
Dopo aver detto che non si può determinare l’esatta durata di questa generazione, viene introdotto un elemento per calcolarne quella approssimativa. Ma, si deve obiettare, la durata approssimativa la conoscono tutti. Abbiamo abbondantemente dimostrato che è universalmente accettato — da millenni — qual è la durata di una generazione. E l’universo mondo è concorde sulla durata di 30 o 40 anni. Perché, quindi, si sente l’esigenza di proporre un nuovo metodo di calcolo? Perché si dice: «Come dobbiamo intendere ciò che Gesù disse riguardo a “questa generazione”?» È evidente (questa volta veramente) che tutte le precedenti determinazioni non potevano più essere adottate. Quelle, per intenderci, del 1897 (Studi sulle Scritture, vol. I, p. 604); del 1927 (La Torre di Guardia del 15 febbraio 1927, p. 62); del 1958 (La Torre di Guardia del 15 ottobre 1958, p. 636); del 1962 (La Torre di Guardia del 15 agosto 1962, p. 484); del 1963 (Svegliatevi! dell’8 marzo 1963, pp. 28,29); del 1974 (Svegliatevi! dell’8 dicembre 1974, pp. 19,20; del 22 aprile 1969, pp. 13,14); del 1979 (La Torre di Guardia del 1° aprile 1979, p. 31); del 1981 (La Torre di Guardia del 15 aprile 1981, p. 31); del 1986 (Svegliatevi! 8 dicembre 1986, p. 12); del 1995 (La Torre di Guardia del 1° novembre 1995, pp. 19,20); del 2008 (La Torre di Guardia del 15 febbraio 2008, p. 24). Qual è, allora, il punto nuovo? Evidentemente, il fallimento di tutte le precedenti determinazioni che avevano tutte in comune un elemento: la durata della generazione in esse era limitata nell’ambito del 20° secolo: «Fra breve, entro il nostro ventesimo secolo, la “battaglia del giorno di Geova” comincerà» (“Le nazioni conosceranno che io sono Geova”, p. 216). Ma in questa prima metà del 2010 del XXI secolo l’intero impianto era già compromesso irrimediabilmente, e pertanto bisognava metterci una pezza.
Il lavoro di ricucitura cominciò a essere predisposto con l’edizione di La Torre di Guardia del 15 febbraio 2008, nella quale, ritornando alle idee di J.F. Rutherford del 1927, si identificava la generazione non con quella del malvagio e incredulo genere umano, ma con quella degli unti, sia del I secolo che del XIX e XX secolo. A ben guardare, però, è una pezza che non copre il buco. Perché, per quanto gli “unti” possano essere diversi dagli altri nelle loro aspettative finali, non lo sono certamente in quanto alla durata della loro vita.
E non può che essere così, in quanto è la stessa Torre di Guardia più volte citata che lo sostiene. L’edizione del 15 febbraio 2008 spiega che Gesù si “riferiva (nel I secolo) ai suoi discepoli, che presto sarebbero stati unti con lo spirito santo”; poi, l’edizione del 15 aprile 2010 aggiunge: “Sia nel I secolo che nei nostri giorni sarebbero stati gli unti seguaci di Cristo a vedere il segno e a comprenderne il significato”.
Il parallelo fra le due generazioni impone lo stesso calcolo per entrambe. Se, quindi, la generazione del I secolo, alla quale Gesù si rivolse, vide la fine nel 70 E.V., così dev’essere per quella dei “nostri giorni” (si ricordi la fatidica data del 1975). E, invece, ecco il coup de théâtre, tutto racchiuso in 6 righe del paragrafo 14: «Evidentemente Gesù voleva dire che le vite degli unti che erano presenti nel 1914, quando si cominciò a vedere il segno, si sarebbero sovrapposte alle vite di altri cristiani unti che avrebbero visto l’inizio della grande tribolazione». Ed ecco dove si annida l’imbroglio. Qui abbiamo due eventi: (a) inizio dei dolori, del segno; (b) inizio della grande tribolazione. Fra i due eventi trascorre l’arco di tempo di una generazione. Secondo Gesù chi avrebbe visto l’inizio avrebbe visto la fine. Secondo il Corpo Direttivo una generazione avrebbe visto l’inizio, e un’altra ne avrebbe visto la fine. Questo è ciò che diceva la rivista Svegliatevi! dell’8 marzo 1963: «Tutti quelli che erano in vita [nel 1914] o che nacquero verso quel tempo fanno parte di questa generazione. I membri di questa generazione vedranno la fine del mondo.» «Pertanto il giudizio divino sarebbe stato eseguito entro l’arco di vita di alcuni che avrebbero visto le prime indicazioni del periodo predetto da Gesù … questo periodo è iniziato nel 1914 E.V. Perciò il giudizio di Dio deve essere eseguito prima che la generazione del 1914 scompaia del tutto.» (La Torre di Guardia del 1° maggio 1968, p. 4). Parole che trovano una conferma ancor più categorica in La Torre di Guardia del 15 ottobre 1985: «Come le profezie di Gesù relative a Gerusalemme si adempirono nell’arco della vita della generazione del 33 E.V., così le sue profezie relative al “tempo della fine” si adempiranno entro l’arco della vita della generazione del 1914.» Il che significa che la generazione deve vedere la fine non oltre il 1970/1975, perché il parallelo con il I secolo sia coerente. Difatti la fine arrivò nel 70, cioè 37 anni dopo il 1933. I due archi della vita devono essere uguali.
Che le due generazioni si tocchino, in quanto la prima porge il testimone alla seconda, non influisce sulla durata della generazione. Il Corpo Direttivo, invece, definisce le diverse generazioni “tale generazione” che ha inizio (più o meno nel ‘900) e una fine (più o meno nel 2020 [o su di lì]). Ma così questa generazione, se non vi saranno altre modifiche, invece di 30 o 40 anni come nel I secolo, durerebbe non meno di 120 anni, cioè 3 o 4 volte di più. I conti non tornano.
Dopo avere ulteriormente modificato, spostandola in avanti, la sconosciuta data della fine, consolatoriamente La Torre di Guardia aggiunge (paragrafo 14): «Tale generazione ha avuto un inizio e avrà sicuramente una fine. L’adempimento dei vari aspetti che compongono il segno indica chiaramente che la tribolazione deve essere vicina”.
Ora, che una generazione abbia un inizio e una fine, come ce l’hanno tutte le cose, non era necessario che il Corpo Direttivo ce lo ricordasse. Anche i meno smaliziati tra i Testimoni di Geova ci arrivano da soli. Il problema è, ovviamente, un altro: quando? La risposta è sconvolgente, e forse per questo la maggioranza dei creduli lettori di La Torre di Guardia non vuole accorgersene. Si trova nelle quattro righe seguenti. Leggiamole: “Mantenendo il senso di urgenza ed essendo vigilanti dimostriamo di tenerci al passo con l’aumentare della luce spirituale e di seguire la guida dello spirito santo”.
Che vuol dire? Si è appena detto che “deve essere vicina”, non “è vicina”. Ciò significa, in effetti, “tutto parrebbe indicare che sta per arrivare”; il “parrebbe” si può così tradurre: “In ogni caso stiamo sempre in attesa e teniamoci al passo con l’aumentare della luce spirituale e seguiamo la guida dello spirito santo”. La luce che aumenta, ovviamente, definisce meglio i contorni delle cose, cioè ci attendiamo che vi siano ulteriori chiarimenti sull’argomento, che saranno provveduti tramite il canale con cui questo spirito viene elargito, cioè lo schiavo fedele e discreto, alias il Corpo Direttivo. Se la luce deve aumentare, è implicito che quella attuale non è ancora “il giorno fermamente stabilito” di Proverbi 4:18, pertanto questa espressione apparentemente innocua è la base per ulteriori chiarimenti sotto il comodo usbergo di uno spirito santo che non si decide mai a “stabilire fermamente il giorno”. Sfugge però al Corpo Direttivo quanto lo stesso libro di Proverbi saggiamente dichiara in 13:12, e cioè che “l’aspettazione differita fa ammalare il cuore”. E in quanto a differimento di aspettative, il Corpo Direttivo è campione intergalattico. Vogliamo ricordarne qualcuna.
«La profezia procede a mostrare quale particolare evento deve essere compreso con un segno inequivocabile dell’esatta data del principio del tempo della fine. Quest’evento è senza ombra di dubbio l’invasione dell’Egitto da parte di Napoleone (1799)» —Studi sulle Scritture, Volume III “Venga il tuo Regno”.
«Noi crediamo che la parola di Dio ci fornisca la prova certa del fatto che stiamo adesso vivendo nel “Giorno del Signore” che ebbe inizio nel 1874, e che deve durare quarant’anni». — La Torre di Guardia di Sion, dicembre 1881.
«La data della fine di “quella battaglia” è definitivamente contrassegnata nelle Scritture nell’ottobre 1914. Essa è già cominciata a far tempo dall’ottobre 1914». — La Torre di Guardia di Sion del 15 gennaio 1892.
«Entro pochi anni al massimo la parte finale della profezia biblica relativa a questi ‘ultimi giorni’ sarà adempiuta». — La Torre di Guardia del 1° maggio 1968, p. 272.
«Il fatto che siano già passati cinquantaquattro anni del periodo chiamato gli ‘ultimi giorni’ è molto significativo. Significa infatti che rimangono al massimo solo pochi anni prima che il corrotto sistema di cose che domina la terra sia distrutto da Dio». — Svegliatevi! del 22 aprile 1969, p. 13.
Cosa accadde, esattamente 37 anni dopo il 33 E.V., nel corso del I secolo? La risposta è nota. Proviamo adesso a immaginare un quadro diverso, quello oggi rappresentato dalla Torre di Guardia. Alla domanda dei discepoli Gesù risponde: Volete sapere quando? Giorno e ora esatti non lo so nemmeno io (il Padre non m’ha ancora detto niente), ma vi posso anticipare che i vostri figli lo vedranno (forse); più probabilmente i vostri nipoti. Ma, obietteranno i discepoli, “se hai appena detto questa generazione, la nostra! “Duri di orecchie”, direbbe Gesù, “quante volte ve lo devo ripetere! La vostra generazione si sovrapporrà a quella dei vostri figli, ai quali racconterete ciò che vi sto dicendo e ciò che state vedendo. Essi, a loro volta, riferiranno ai loro figli che (forse) vedranno la distruzione di Gerusalemme. “Ma”, chiederanno ancora i discepoli, “in tal caso non saremo noi, questa generazione a vedere la distruzione di Gerusalemme, ma loro, la loro generazione, quella generazione, non questa”! “Evidentemente, sarà così”, risponde Gesù, “mi pare ovvio”.
Sergio Pollina